18 Aprile

HEALTHCARE

Diagnosi omessa o ritardata: la Cassazione amplia il novero dei danni risarcibili riconoscendo quelli conseguenti all'impedimento del paziente di autodeterminarsi rispetto alle scelte di fine vita, a prescindere anche dalla perdita di chances

18/04/2019

Anche nelle ipotesi in cui l’omessa o ritardata diagnosi non configura perdita di chances per il paziente che, nel merito, sarebbe comunque deceduto in conseguenza del “male”, la Cassazione ha affermato che l’errore dei sanitari incide sulla qualità della vita dell’ammalato che non può autodeterminarsi nelle scelte del fine vita, le quali sono invece valorizzate anche da provvedimenti legislativi recenti come quello sulle cure palliative e soprattutto dalla legge sul biotestamento: rientra, infatti, nelle «alternative esistenziali» per l’ammalato scegliere cure soltanto palliative oppure accettare in modo consapevole il dolore in attesa della morte senza l’aiuto di alcun intervento medico, in quanto entrambe le opzioni hanno valore e dignità. La terza sezione civile della Cassazione si discosta quindi dal prevalente orientamento che identifica i danni risarcibili ai congiunti soltanto nella perdita di chance di guarigione o di una prolungata sopravvivenza alla patologia ad esito letale, ed afferma che il paziente ha comunque il diritto, da un lato, di scegliere «che fare» nell'ambito di quello che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute residua fino all'esito infausto, e dall'altro, a programmare in qualche modo la sua fine imminente esplicando le sue attitudini psico-fisiche. La diagnosi non tempestiva priva infatti l’ammalato di un ventaglio di opzioni, mentre ciascuno ha il diritto di autodeterminarsi nei propri percorsi esistenziali e dunque di scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita. A conforto di tale estensione di tutela, la Corte Suprema evidenzia che il diritto di scelta di cui si tratta è affermato non soltanto dalla legge 38/2010 in materia di accesso alle cure palliative e del dolore, ma anche dalla legge 219/17 sulle cd. DAT (disposizioni anticipate di trattamento), secondo cui ogni persona maggiorenne e capace di intendere e volere, in previsione di un’eventuale futura incapacità, ha la possibilità di «esprimere le proprie volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari», oltre che di nominare all'uopo un fiduciario. Posto quindi tale principio, la Corte di Cassazione ha demandato ai giudici del rinvio la decisione sulla domanda di risarcimento del danno “iure hereditatis”, ovvero sulla richiesta di ristoro dei pregiudizi cagionati alla qualità della vita (Corte di Cassazione, sentenza n. 10424 del 15 aprile 2019).