HEALTHCARE
Anche nelle ipotesi in
cui l’omessa o ritardata diagnosi non configura perdita di chances per il
paziente che, nel merito, sarebbe comunque deceduto in conseguenza del “male”,
la Cassazione ha affermato che l’errore dei sanitari incide sulla qualità della
vita dell’ammalato che non può autodeterminarsi nelle scelte del fine vita, le
quali sono invece valorizzate anche da provvedimenti legislativi recenti come
quello sulle cure palliative e soprattutto dalla legge sul biotestamento:
rientra, infatti, nelle «alternative esistenziali» per l’ammalato scegliere
cure soltanto palliative oppure accettare in modo consapevole il dolore in
attesa della morte senza l’aiuto di alcun intervento medico, in quanto entrambe
le opzioni hanno valore e dignità. La terza sezione civile della Cassazione si
discosta quindi dal prevalente orientamento che identifica i danni risarcibili
ai congiunti soltanto nella perdita di chance di guarigione o di una prolungata
sopravvivenza alla patologia ad esito letale, ed afferma che il paziente ha
comunque il diritto, da un lato, di scegliere «che fare» nell'ambito di quello
che la scienza medica suggerisce per garantire la fruizione della salute
residua fino all'esito infausto, e dall'altro, a programmare in qualche modo la
sua fine imminente esplicando le sue attitudini psico-fisiche. La diagnosi non
tempestiva priva infatti l’ammalato di un ventaglio di opzioni, mentre ciascuno
ha il diritto di autodeterminarsi nei propri percorsi esistenziali e dunque di
scegliere come affrontare l’ultimo tratto del proprio percorso di vita. A
conforto di tale estensione di tutela, la Corte Suprema evidenzia che il diritto
di scelta di cui si tratta è affermato non soltanto dalla legge 38/2010 in
materia di accesso alle cure palliative e del dolore, ma anche dalla legge
219/17 sulle cd. DAT (disposizioni anticipate di trattamento), secondo cui ogni
persona maggiorenne e capace di intendere e volere, in previsione di
un’eventuale futura incapacità, ha la possibilità di «esprimere le proprie
volontà in materia di trattamenti sanitari, nonché il consenso o il rifiuto
rispetto ad accertamenti diagnostici o scelte terapeutiche e a singoli
trattamenti sanitari», oltre che di nominare all'uopo un fiduciario. Posto
quindi tale principio, la Corte di Cassazione ha demandato ai giudici del
rinvio la decisione sulla domanda di risarcimento del danno “iure hereditatis”,
ovvero sulla richiesta di ristoro dei pregiudizi cagionati alla qualità della
vita (Corte di
Cassazione, sentenza n. 10424 del 15 aprile 2019).