LAVORO
La sezione lavoro della Corte di cassazione, con la sentenza del
21 agosto 2018 n. 20880, si è pronunciata in merito alla legittimità del
licenziamento disciplinare intimato dalla Croce Rossa Italiana - ente
strumentale - a un proprio medico
scoperto a svolgere fuori orario di lavoro attività remunerata di medico
penitenziario. Nel caso di specie tanto il Tribunale quanto la Corte di appello
avevano rilevato che il rapporto di lavoro del medico con la Croce Rossa
Italiana era regolato del comune principio di esclusività, che prevede che per
poter esercitare un’altra attività professionale occorre comunque
l’autorizzazione dell’ente di appartenenza. La difesa del medico sosteneva
invece l’applicazione delle norme speciali che regolano l’attività del medico
penitenziario, tra le quali l’art. 2 della l. 740/1970 che esclude che al
medico penitenziario si applichino le norme in tema di incompatibilità e
limitazioni allo svolgimento di altre attività, al fine di agevolare
l’esercizio di un’attività particolarmente gravosa come appunto quella del
medico penitenziario. La Corte di cassazione rigetta l’azione del medico
ricordando che le prestazioni dei medici penitenziari non integrano un rapporto
di pubblico impiego, bensì di collaborazione autonoma parasubordinata soggetta
alle speciali disposizioni della l. 740/1970. Tuttavia, rileva la Corte, nel
caso di specie il medico era dipendente della Croce Rossa Italiana e quindi il
suo rapporto di lavoro era già, e prima di tutto, di pubblico impiego e come
tale soggetto al regime delle incompatibilità di cui all’art. 53 del d.lgs.
165/2001, conseguendone che questi non avrebbe comunque potuto svolgere altra
attività professionale senza la preventiva autorizzazione del proprio ente di
appartenenza, non essendo invocabili le deroghe di cui alla l. 740/1970.