LAVORO
La
Corte di cassazione penale, con la n. 35792 del 26 luglio 2018, si trova per la
prima volta ad applicare la recente normativa in tema di whistleblowing e lo fa
valutando la condotta del dipendente pubblico che compie atti di investigazione
consistenti nell’utilizzo di credenziali altrui per accedere ai sistemi
informatici dell’amministrazione al fine di acquisire prove di illeciti
commessi sul luogo di lavoro. In relazione a tale condotta il dipendente in
questione, che viene imputato del reato di accesso abusivo a sistemi
informatici, si è difeso invocando l’applicazione della normativa sul
whistleblowing (legge 179/2017) che, come noto, accorda al dipendente che
denuncia illeciti di cui è venuto a conoscenza in occasione della propria
attività lavorativa una speciale garanzia di non poter essere licenziato o di
subire altre sanzioni o misure discriminatorie, sul presupposto di aver
agito al fine di denunciare illeciti commessi sul posto di lavoro. La
Cassazione, nel rigettare la tesi del dipendente ricorda come la normativa in
questione si pone l’obiettivo di impedire che chi denuncia possa, per questo,
subire pregiudizi sul lavoro, mentre di contro nessuna norma pone in capo ai
dipendenti un obbligo di attivarsi al fine di reperire prove di illeciti, mediante
attività investigative.